Dopo aver dibattuto per qualche minuto su chi aveva russato di più tra i soliti ignoti della camera, con Marco Celestino e Veronica scendiamo a fare colazione. Nella hall, che funziona anche da sala ristorante, ci sono 5° gradi, sembra di essere in settimana bianca. Ci incrociamo con il resto della banda con cui concordiamo l’uscita di oggi.
L’argomento di discussione rimane sempre quello delle assicurazioni che, benché non obbligatorie, stiamo cercando di stipulare, senza successo, dall’ingresso nel paese. Facciamo una serie di telefonate, ma anche in questa occasione tutto negativo. Eppure sul sito della Farnesina c’è scritto chiaro che è possibile stipulare in frontiera, ma quale? Tutte le assicurazioni contattate ci chiedono o la residenza nel paese da almeno un anno o in alternativa bisogna essere cittadini messicani, statunitensi o canadesi. Niente da fare, così Celestino con Veronica scelgono di rimanere in hotel per cercare una soluzione, altri affittano un’auto per visitare le Keys, ed io con chi rimane, andiamo in centro con le moto.
Prima tappa a Bayside di Miami, dove oltre al lussuoso centro commerciale si possono ammirare stupendi yacht parcheggiati al porticciolo turistico. Una passeggiata tra cose belle, dopo tanta autostrada e motel, male non ci fa ed approfittiamo per fare qualche compera. Incredibile a dirlo, ma qui parlano italiano quasi tutti, commessi dei negozi e curiosi che ci fermano per chiedere info sulle nostre moto. Scambiamo due chiacchiere con il poliziotto in servizio all’ingresso del parcheggio e solo per tranquillizzarci gli chiediamo info sulle assicurazioni: la risposta è la medesima “nessuno te la chiederà mai, in caso di incidente per colpa pagherai il dovuto”, ma neanche lui ci da alcuna info su come e dove farla.
Lasciamo Bayside e con l’aiuto del TomTom ci portiamo al quartiere cubano, dove ci fermiamo per pranzare. Il posto è molto affascinante, è una strada piena di locali e la musica è ovunque. Sediamo intorno a dei tavoli di un ristorantino caratteristico e mangio qualcosa che doveva somigliare a dei calamari fritti, ma la forma ed il sapore non corrispondono affatto. Ma qui si viene per il posto, per l’aria che si respira e non per mettere una stellina sulla guida Michelin.
Ci intratteniamo fino al primo pomeriggio prima di spostarci sulla mitica Ocean Drive, la strada più famosa di Miami Beach che costeggia il mare. Parcheggiare 9 moto non è affatto facile, le spostiamo più volte prima di arrenderci: il park per le moto ha un costo e le strisce sono in numero di tre ad ogni angolo della strada. Ma quando proviamo a pagare iniziano i problemi, in quanto devi avere un’applicazione sul telefono e chiamare un numero che per i nostri cellulari è impossibile contattare, oppure dare 20$ l’ora ad un autosilos poco distante.
Ecco la mitica Ocean D, un tripudio di locali straordinari con musica a tutto volume, macchine stupende, moto meravigliose, ragazze bellissime sia bianche che nere e montagne di silicone che si muovono in ogni direzione. Non credo di aver mai visto nulla di simile e tutto insieme. Giovani e giovanissime sfoggiano degli abiti incredibilmente sexy e quando dico sexy date pure spazio alla vostra più fervida immaginazione, siamo sulla spiaggia. Rimango impressionato però da un uso così eccessivo ed esagerato del bisturi e del silicone anche tra le più giovani, sembra quasi una gara.
L’ambiente è sicuramente affascinante, tutto è bello e tutto è perfetto. Noi in tutto questo passiamo quasi inosservati, non saranno certo le nostre moto vecchie e sporche ad attirare l’attenzione del momento. Decidiamo di fare un tuffo nell’acqua azzurra, il tempo è ideale e si sta benissimo. Rimaniamo fino a quando il bagnino ci toglie le sdraio da sotto il sedere e torniamo a prendere le nostre motociclette. Prima però un gelato da “Mamma Mia”, gestita da italiani, due palline di gelato sono 6 dollari e qualcosa (è qui che dici “mamma mia”), ma siamo a Miami Beach. Le moto sono ancora dove le abbiamo lasciate e dopo aver sentito telefonicamente Pierpaolo, che era da poco atterrato al locale aeroporto ed aveva subito un lungo interrogatorio in dogana a causa dei suoi visti di Libia e Sudan sul suo passaporto – visti maturati in seguito alla missione del 2010 di MfP, rientriamo in hotel.
A proposito del problema occorso a Pierpaolo c’è da segnalare una non chiara situazione che si è creata prima della nostra partenza: Celestino aveva contattato l’IPA (International Police Association) di USA e Canada per chiedere assistenza alla nostra missione. Per chi non sa, l’IPA è la più importante associazione di polizia che raccoglie circa 148 paesi. La missione dell’IPA è “Servo per Amikeko”, quindi sostegno fraterno a chiunque lo richieda. Nel nostro caso Celestino aveva richiesto sostegno per alloggio ed incontri (alloggi non gratuiti ma a prezzo agevolato), ma incredibilmente la IPA USA, non so quale dipartimento ma Celestino ha la mail, risponde che per prima cosa non tutti i componenti del team erano poliziotti (e questo non dovevano dircelo loro, meccanico, fotografo, operatore e medico sono figure esterne che vengono a prestare la loro opera all’interno del gruppo, opera che non è stato possibile reperire all’interno della nostra amministrazione) e poi considerato che nella prima lista di nomi compariva il nominativo del nostro amico libico Mohamed, puntualizzavano che la IPA non era presente in Libia, e per questo non era possibile aiutarci. Al contrario la IPA Canada si attivava già dalla prime comunicazioni coordinandosi con il nostro Ufficiale di collegamento e con il nostro ambasciatore ad Ottawa che è stato il primo in assoluto ad aderire al nostro appello.
Per la sera organizziamo una pasta all’arrabbiata in onore di Pierpaolo, che da oggi sarà dei nostri e si sostituirà a Stefano alla guida della BMW 800 a partire da Washington.