La giornata si presenta complessa, come ho già scritto la tappa è difficile e non c’è certezza di molte cose, dai km, alle frontiere ai visti e soprattutto alla condizione della strada.
Usciamo quasi puntuali alle 7.00 ed in poco tempo siamo sulla statale verso la Cina. Una campagna meravigliosa ci fa compagnia lungo il percorso, tutto coltivato a grano, granturco e ortaggi a perdita d’occhio. Sono numerosi anche gli allevamenti tra cui primeggiano quelli di cavalli: tanti, tantissimi di tutti i colori e razze ma anche tanti asini. I pastori controllano le mandrie sempre a cavallo e vestono l’abito caratteristico con un berretto cilindrico con quattro angoli.
Il tempo è dalla nostra parte ed il cielo azzurro chiaro ci fa ben sperare. La kilometrica per Torugart segna 539, un bello strappo davvero ma quello che verrà in seguito impossibile immaginarlo.
Con la strada libera possiamo andare sui 100, tranne per le salite. Fiancheggiamo una catena montuosa che ci porta ancora verso est ma siamo coscienti che prima o poi questa andrà tagliata per andare a sud.
Siamo sui 1500 mslm e continuiamo a salire fino a 1800. Lo scenario si modifica ed ora abbiamo montagne che ci guardano mentre noi attraversiamo un canalone. No alberi, no erba, tutto arido, tutta roccia e sabbia. Pochi villaggi intorno e cimiteri. I cimiteri sono delle opere d’arte: ne abbiamo incrociati moltissimi, tutti visibili dalla strada, ma questi, forse perché edificati in un contesto così particolare sono straordinari. Sono costruiti sui cocuzzoli delle vette e le tombe sono delle piccole stanze senza tetto con al centro la mezzaluna che è sorretta da quattro verghe di ferro . Alcune sono più grandi fino a sembrare dei piccoli templi.
Strada su strada e dopo 200 km riforniamo. No carte di credito e no euro, come facciamo? Una maxi colletta con tutto quello che ci rimane in tasca dei soldi kirghisi ci consente di fare un pieno. Piccola sosta e continuiamo tenendo sempre d’occhio l’orologio, abbiamo un grande problema: dobbiamo lasciare entro oggi il Kirghizistan perché da domani c’è festa di due giorni e le frontiere chiuderanno e nello stesso tempo entro le 24 dobbiamo fare frontiera con la Cina perché i cinesi dalle 24 vanno in festività per una settimana. Non abbiamo potuto anticipare l’ingresso in Cina perché il nostro permit parte dal 28, insomma non possiamo permetterci alcuna distrazione.
La temperatura sale a 30°, anche se vediamo le montagne innevate così vicino da toccarle fa caldissimo. Si affaccia però qualche nuvola e arriva qualche gocciolina d’acqua.
Altro pieno e questa volta ci salva Mehmet: ha in tasca 100 dollari che alcuni poliziotti ci cambiano, più altre rimanenze di denaro locale con cui riusciamo a fare un altro pieno. Gli euro non li vogliono, non si fidano. In questo paese dove vanno matti per l’Italia e dove hanno come mito il “Commissario Cattani della Piovra” (tanto da soprannominare “Cattani” il loro Ministro dell’Interno per la sua severità ed incorruttibilità), non hanno invece fiducia ad accettare 100 euro!!!
Piccola colazione e di nuovo in sella verso il passo di Torugart. Siamo già a più di 2000 mslm e saliamo saliamo saliamo. Arriviamo a 3000 metri e percorriamo una landa desolata. Dal ciglio della strada si stagliano picchi altissimi, il cielo si è rabbuiato ed ora pioviggina. L’asfalto cessa di esistere e percorriamo uno sterrato reso fangoso dall’acqua. Ogni tanto metto a terra lo stivale per verificare l’aderenza del suolo che è buona, ma si sale ancora, piove e c’è sempre più melma al suolo. L’anteriore della moto inizia ad andare a destra e poi a sinistra, lo correggo con la manetta del gas ma la situazione è precaria. Siamo a 3600 metri, andiamo ancora più su, la pioggia aumenta ed il fango pure. I camion che vengono dalla parte opposta non sono molto garbati e per tenersi lontani dal ciglio del burrone invadono la nostra corsia e ci buttano fuori strada.
Ho il fango dappertutto, abbiamo il fango dappertutto, i TCX sono completamente marroni ed ora si comincia a scendere. Non so se era meglio la salita, ora sembra di stare su una saponetta ma il grip è discreto e con il freno motore ci caliamo lungo un pendio al 10%. Sembra che smette di piovere, ci sono solo 3 gradi, il tempo è cambiato in un secondo.
Questo calvario dura un’ora e dopo un altro paio di tornanti ci fermiamo lungo un ruscello. Fiumi e laghetti abbondano e l’acqua è cristallina. Il tempo di prendere fiato, visto che stiamo sempre a più di 3000 e riprendiamo la strada. Fortuna torna la black road, con buche in ordine sparso ma sempre meglio che fare “la lotta nel fango”.
Altri kilometri, il tempo cambia ancora, e scendiamo verso una vallata, due curve e ci si spalanca una scena da brivido: una pianura dalle proporzioni pantagrueliche davanti al nostro sguardo, una emozione fortissima, un tuffo al cuore, un po’ come quando trovi la raccomandata di Equitalia nella cassetta della posta.
Mille foto sono d’obbligo anche se non possiamo permetterci di contemplare questo dipinto come meriterebbe. Ora si scende ma poi si ricomincia a risalire fino a 3800. Troviamo questa altitudine dopo aver tirato lungo un rettilineo di quasi 50 km, ma 3800 non è il passo ma bensì un altipiano senza fine. Siamo a Torugart ma non vediamo il confine. A questa altitudine si fa un po’ fatica a respirare, bisogna muoversi adagio. Ce ne accorgiamo quando siamo finalmente in prossimità del check e scendiamo dalla moto, andiamo al rallentatore.
Tutt’intorno solo pascoli verdi, ancora tanti allevamenti di cavalli e mi chiedo come si possa resistere a queste condizioni. Due immensi laghi alla nostra sinistra, come due pietre incastonate nella roccia ci danno l’idea di quanto è grande questa pianura sospesa nel cielo.
I poliziotti ed i doganieri sono più infreddoliti che noi. Uno specialmente, quello che tiene il fucile mitragliatore sulle spalle, non riesce a parlare per il freddo, e non toglie mai le mani dalla tasca.
Il confine è sbarrato con un grande cancello che chiude la strada per intero. Il controllo passaporti è molto lento perché fatto manualmente: i dati di ogni passaporto vengono trascritti su un librone vecchio di cent’anni ed il tizio ci mette una vita.
Noi ne approfittiamo per scattare qualche foto, ma l’occhio è sempre all’orologio, siamo in ritardo.
Finalmente si apre il cancello e ci immergiamo in questa natura incontaminata. Nessun rumore e a rompere il silenzio solo quella marmitta casinista di Celestino, non ha fatto in tempo a montare la mitica GPR. Tiriamo per quanto possiamo, ma più di cento non è consigliabile. La stanchezza inizia a farsi sentire, sono le 5 del pomeriggio e guidiamo oramai da 11 ore. Un altro rettilineo e vedo all’orizzonte che la strada è diversa, spero di sbagliarmi ma più mi avvicino e più realizzo che l’asfalto termina ed al traguardo mancano ancora più di 100 km.
Entro sulla brecciata senza ridurre la velocità, mi seguono tutti a ruota, anche Nina che ha scelto di cominciare a guidare proprio oggi, bel battesimo davvero. Sali e scendi tra ruspe e camion e gru, ci sono lavori in corso ovunque e di ogni tipo.
Pezzi brutti, pezzi di strada meno brutti, si
riesce comunque a tenere una buona andatura. Stiamo a molta distanza l’uno dall’altro per prudenza e per non guidare nella nuvola di polvere che alza la moto che ci precede.
Ad un certo punto Santina via radio mi informa che la guida cinese che ci attende al posto di frontiera sollecita il nostro arrivo: almeno una moto al più presto, chiede, almeno una, qui i militari vogliono chiudere. Mi prende un colpo, penso di essere già al massimo, come facciamo? Anche perché non so quanti km mancano esattamente.
Apro per quanto mi è possibile ed in piedi sulle pedaline cerco di fare del mio meglio. A qualche centinaio di metri Richard e poi gli altri. Vedo da lontano un check, ma solo quando mi avvicino mi accorgo che è il secondo check kirghiso. Altro controllo passaporti, i militari perdono tempo e non vogliono mandarmi via, pretendono prima l’arrivo di tutto il gruppo. Spiego loro che il passo della Cina sta chiudendo, ma non vogliono sentire ragioni. Insisto, alzo la voce e strappo il mio passaporto dalle mani del militare che, forse ha capito o forse no, mi lascia andare. Ora ci sono 7 km per la frontiera con la Cina. Esco da questo luogo improbabile e …. non so dove andare! Davanti a me più di una strada e molte macchine da lavoro all’opera, la più logica sembra quella che tira dritto e così faccio. Solo 7 km mi separano dal confine ma la strada qui non è affatto buona. Buche, sabbia e diverse ruspe e camion che mi sbarrano la strada più volte: mi attacco come un pazzo al clacson e alla fine vedo il grande cancello con la bandiera cinese, ce l’ho fatta. Il paesaggio è incredibile, siamo a quasi 4000 m e sembra di stare su Marte. Dall’altra parte del cancello c’è la guida in auto che mi attende, scende e viene verso il cancello e dopo avermi salutato con un Welcome in Cina mi fa una cazziata di 10 minuti. Giustificare il ritardo non è semplice ma ci provo.
Nel frattempo vedo da lontano Richard che arriva a palla lasciando dietro di se una scia polverosa in stile Billy il Coyote ma a quasi un kilometro dall’arrivo lo vedo saltare su un dosso come Togni. Fortunatamente non cade ma sfonderà entrambi i paraoli della forcella.
Scendono i militari dalla torretta di guardia ed inizia il primo controllo passaporti. Man mano arrivano tutte le moto e poco dopo anche i due furgoni. Tutto ok e ci spostiamo verso la vallata dove c’è un secondo controllo polizia. Ci fanno accomodare dentro un parcheggio ed arrivano in un battibaleno almeno 20 poliziotti. Iniziano a frugare ovunque, minuziosamente, valigie moto, furgoni e tutte le valigie dovranno passare sotto un metal detector collocato in un furgone. Questa operazione fatta in fretta a 3500 metri ci fa venire il fiatone, ma non possiamo perdere tempo, sta facendo buio.
Mentre attendiamo il timbro sui documenti si controllano i danni alle moto: scoppiati di nuovo i paraoli forcella di Jordi più quelli di Richard. Cuscinetto sterzo di Francesco andato. Le altre moto sembrano a posto ma domani con la luce potremo verificare per bene.
La guida sulla sua jeep ci fa strada, ora ci attende un altro posto di controllo nella bassa vallata. Percorriamo circa 90 km, avevamo capito solo 8, e dopo avere superato una serie di piccoli villaggi giungiamo all’ennesimo check: barra a terra chiodata, sentinelle armate, altane con mitragliatrici, con manca nulla. Qui è solo controllo passaporti, altri 20 km e troveremo dogana ed immigrazione.
Quindi di nuovo in moto, è buio pesto ma la strada è buona. Custom, ci siamo. Sistemiamo tutti i mezzi nel parcheggio, i poliziotti dell’immigrazione stavano aspettando noi per chiudere. Il controllo ai passaporti, il quarto credo, è veloce abbastanza. Riempiamo i form, ci viene misurata la febbre e per loro siamo ok ma bisogna attendere ora la dogana. Quello che sembra il capo è incazzato parecchio, si lamenta per l’orario, in effetti sono quasi le 23.00. Tra me e me penso che a quest’ora magari si farà un controllo soft ed invece: tutti i bagagli di nuovo sotto il metal detector, controllo bagagli e poi la parte più bella, i numeri del motore di tutti i mezzi. Non ci voglio credere, noi tutti con le lampade sdraiati a terra a dare i numeri come fossimo al banco del lotto. Non ci risparmia nulla, si passa infatti ai numeri del telaio. Tremo al pensiero di aver sbagliato a trascrivere qualche numero di chassis o altro ed in effetti qualcosa non va, ma per fortuna la guida uigura ci da una mano.
Andiamo via dalla dogana passata la mezzanotte ed ora ci sono 70 km per arrivare a Kasghar. Si entra in autostrada, le moto non pagano, ed in pochissimo arriviamo in hotel. La tappa di oggi è stata di 670 km, una folle corsa ma siamo stati bravi ed abbiamo guadagnato un giorno rispettando i tempi della dogana. Se fossimo arrivati una sola ora più tardi avremo dovuto attendere la fine delle festività cinesi e per noi sarebbe stato un disastro.
La guida prima di lasciarci ci chiede di essere pronti domattina alle 7.30: dobbiamo andare in motorizzazione per espletare le formalità per il rilascio di targhe e patenti cinesi, ma la risposta in coro è la seguente: nun ce pensà proprio!!! Siamo stanchi da morire e differiamo l’appuntamento alle 10.00.