La sveglia è sempre all’alba. Non abbiamo dormito gran che, mi alzo da un materasso bagnato fradicio pieno di punture di zanzare e chissà cos’altro. Speravamo in una temperatura migliore a quest’ora, ma ci è andata male.
Usciamo di città senza troppi problemi e prendiamo la strada per il Belize. L’obiettivo di oggi è Belize City, solo 430 km con una frontiera da superare. Facciamo rifornimento e dopo circa un’ora uno stop presso un piccolo centro al fine di cercare una nuova batteria per Glauco. L’elettrauto controlla lo stato del mezzo e sembra che sia proprio la batteria il problema, ma un altro problema è trovare una batteria compatibile. La ricerca del ricambio giusto richiede più di un’ora, un’ora molto preziosa per un trasferimento di questo tipo. Oramai siamo ostaggi del sole e procediamo incolonnati verso la frontiera anche se potremmo avere la possibilità di visitare le famosissime piramidi di Tikal. Il tutto è solo questione di tempo. Stop per la colazione presso un’area di servizio e riprendiamo la strada verso la frontiera, rimandiamo la decisione se andare oppure no a Tikal sono una volta giunti al bivio, solo allora potremo valutare. Altri 30 km e giungiamo ad uno stop, a dire il vero poco comprensibile. Mi precede Giose che guida la moto di Celestino e frena violentemente per l’arrivo di una macchina a gran velocità da sinistra, io devo fare la stessa cosa per evitarlo e Norbert che mi segue non riesce allo stesso modo e per evitarmi finisce in un fosso. Per fortuna non si fa neanche un graffio, solo un poco di spavento e tirata fuori la moto scoppiamo tutti in una grande serata. Siamo quasi al bivio, Tikal oppure Belize, ed il gruppo vota per Tikal, cosciente che potremo guidare fino a tardi.
Tikal è stata la più grande capitale Maya del centro America sorta circa 100 anni a.C.. Poi abbandonata misteriosamente è tornata alla luce ai primi del 900 ad opera di uno studioso inglese. Le piramidi sono sparse su una grande superficie e molte di esse erano interrare o ricoperte di folta vegetazione. Sono semplicemente meravigliose, maestose ed ancora intatte. Alla base ci sono ancora i ceppi sacrificali dove venivano decapitate le vittime date in offerta alle divinità.
Il sito meriterebbe una visita di un giorno intero, ma non ce lo possiamo permettere. Torniamo alle moto accompagnati dalle grida delle scimmie urlatrici, mentre tutt’intorno circolano liberi pavoni meravigliosi, formichieri e da un numero incredibile di uccelli dai mille colori.
La frontiera non è vicinissima ma la strada è ottima ed arriviamo all’imbrunire. Questa volta siamo fortunati, le procedure doganali in uscita ed entrata in Belize sono rapidissime. Salutiamo i colleghi del Guatemala che ci lasciano in consegna a quelli del Belize e ci addentriamo nella ex colonia britannica.
In Guatemala abbiamo superato immense piantagioni di ananas e banane (presenti le coltivazioni di Chiquita e Dole ma anche Del Monte), qui invece è molto diverso. Molto verde ma non coltivazioni, i boschi sono molto lontani dalla statale e l’architettura è completamente diversa.
Le abitazioni in legno sono quasi tutte “tipo palafitta”, lasciando lo spazio sottostante al parcheggio delle auto. Le costruzioni sono prevalentemente in legno, ed anche qui i villaggi si sviluppano lungo le carreggiate.
Lo stato delle cose sembra molto sofferente, case vecchie e malandate, anche la viabilità è trascurate con asfalto rattoppato e buche pericolose. La segnaletica è quasi assente ma troviamo solo i famosi bump, a decine, che rendono il percorso ancora più difficile.
Illuminazione inesistente, seguiamo la jeep che ci staffetta con i lampeggianti accesi. Dobbiamo percorrere circa 120 km per Belize City, non sarà molto facile in queste condizioni. Sono quasi le 21.00 e siamo molto stanchi, così facciamo una sosta per riposare un attimo e valutare le condizioni di tutti. Un paio di persone si avvicendano alla guida dei mezzi e ripartiamo decisi ad arrivare con un ultimo strappo in città. Fortunatamente la strada qui migliore e possiamo tirare fino ai cento. Ecco le luci, il famoso cimitero all’ingresso della città, ci siamo. Belize City di primo impatto si presenta assolutamente differente da tutto quello visto fino ad ora. Ex colonia inglese, ha una architettura particolare che richiama agli anni della dominazione. Contesa tra Spagna, Inghilterra ed Honduras è stata proclamata indipendente nel 1984.
Entriamo nelle vie del centro e da subito l’idea di una città in decadenza dove tutto è da rifare. Ha l’aria molto stanca, come le persone che passeggiano a passo lento lungo le viuzze sporche e poco illuminate.
Il nostro hotel, il Carribean, è a pochi passi del centro. Lo abbiamo prenotato perché costava pochissimo, ed ora capiamo il perché. Le stanze hanno lo stesso odore di una cantina 100 metri sotto terra, l’arredo è quello di prima dell’indipendenza ed i servizi igienici meglio non parlarne. Siamo 21 ma ci sono camere solo per venti, uno di noi si metterà a terra con un materasso. Gli ambienti delle camere sono strettissimi e le nostre cose vanno ancora una volta sul pavimento. Qualcuno fa lo schizzinoso e va alla ricerca di una sistemazione migliore sempre nello stesso hotel, chissà se dormirà meglio degli altri?
Mentre sistemavamo le stanze entra in albergo una coppia di inglesi, lei ha appena subito un tentativo di scippo è caduta a terra ed ha entrambe le ginocchia insanguinate. La cosa non ci impressiona più di tanto, entrando in città non abbiamo avuto l’idea di un posto molto rassicurante. Come ho detto poc’anzi le strade sono buie, poche le persone in giro a quest’ora e non ho notato la presenza di polizia.
Gino trova la forza di fare una pasta al pomodoro, abbiamo mangiato quasi nulla e la giornata è stata pesantissima e nonostante l’aria pesante nelle stanze cadiamo tutti in un sonno profondo.