Il sole sorge quando siamo già nel deserto. Neanche 10 km e eccoci tra dune altissime per più di 100 km. La temperatura è bassa, come è noto si passa dal gran caldo al gran freddo, le escursioni termiche sono elevate.
La zona è militarizzata, oramai siamo abituati, e superiamo diversi controlli di polizia. Al primo rifornimento notiamo che anche il vigilante dell’area di servizio è munito di casco, scudo, manganello ed altri strumenti di coercizione fisica. Mi chiedo cosa succede da queste parti.
Per fare benzina bisogna registrare le targhe dei mezzi e la benzina a 95 è off. Qui sono anche off molti siti internet, la pagina Facebook e Twitter che non riusciamo più a curare ed è difficile inviare foto a mezzo whatsapp.
Altro controllo di polizia e questa volta non passiamo inosservati: il poliziotto ci chiede di accostare e vuole vedere tutti i passaporti, a pochi metri un altro militare ci sorveglia imbracciando un M16. Il controllo dura pochi minuti e verificati tutti i VISA cinesi ci lascia andare. A questo punto chiediamo noi se possiamo sostare per fare una pausa, la solita pausa caffè.
Ci spostiamo di pochi metri e mettiamo la moka sul fuoco. A questo punto i poliziotti si avvicinano di nuovo e sempre con Mehemet come interprete spieghiamo il motivo della missione. Si finisce così per fare foto insieme, compreso il collega con l’M16, e li invitiamo alla nostra colazione.
Il deserto è meno deserto, appare una discreta vegetazione e facciamo un nuovo rifornimento: 280 km da un distributore all’altro, se non hai una buona autonomia in questo tratto si rischia di rimanere a piedi. Alle 13.00 siamo già in hotel, una breve tappa di poco più che 300 km, ne approfitteremo per distrarci un po’.
Le stanze costano 220 yuan nell’albergo vecchio e 360 in quello nuovo. La prima scelta è condivisa e devo dire che le camere non sono proprio tanto male.
Qualcuno del gruppo esce a fare un giro, ma tornano dopo circa un’ora leggermente scioccati: sono stati accerchiati da una squadra di almeno 20 agenti della SWAT in assetto anti sommossa e portati in ufficio per accertamenti. Fermati senza alcun motivo apparente, gli sono state fatte mille domande da un responsabile che parlava perfettamente inglese, chi siete e da dove venite e perché siete qui; hanno poi fotografato alcuni passaporti e solo quando Tina si è qualificata sono stati subito “rilasciati”. La tensione da queste parti si taglia con il coltello.
Più di un mese di convivenza in un gruppo di 16 persone comincia a farsi sentire, gli umori a volte si accendono anche per cose di poco conto, sono abituato a questo e nel pomeriggio cerco di spegnere sul nascere un contrasto tra alcuni componenti di MfP: si discute sempre sulle solite cose tipo troppa o poca distanza nella guida, chi fa più caffè e chi ne fa meno, chi lascia gli avanzi sul tavolo anziché gettarli nel cestino, chi prende la stanza più o meno comoda. Dopo un viaggio così intenso e faticoso i limiti di pazienza e/o condiscendenza si abbassano, ma poi basta una parola, un abbraccio e un bacio per far tornare le cose a posto. Anche questo è MfP.