Di notte manca sempre l’aria, ed è un problema comune. Si fa a fatica a respirare, almeno però sono scomparsi i mal di testa. Ieri un paio di persone hanno avuto un particolare affanno, questo ambientamento è veramente tosto. Continuiamo a prendere dei farmaci, cinesi e tradizionali e contiamo le ore per scendere da quassù.
Colazione e alle 10.00 siamo ai taxi con la nostra guida, Thoobteen, che io chiamo più facilmente TomTom. Siamo davanti al Potala Palace, superbo, ed entriamo. Il primo step è il New Building dove viene riassunta un po’ tutta la vita del Palazzo e dei Dalai Lama.
Camminiamo, facciamo scale, l’affanno torna sempre. Terminata la visita ci spostiamo verso il Palazzo principale e qui ci sono delle regole ferree: perquisizione (non sono consentiti accendini e fiammiferi, il perché è ovvio, e tutti i tipi di strumenti atti ad offendere, in più vengono requisite le bombole d’ossigeno che molte persone preferiscono avere al seguito), prescrizione di non scattare foto all’interno del palazzo pena il sequestro irrevocabile della camera e non permanere più di un ora nel palazzo pena conseguenze, anche se non abbiamo capito quali.
Per entrare nel palazzo bisogna fare trekking su delle scale che ti portano fino al cielo, di quei scalini irregolari che ti spezzano le gambe. Siamo vicini al collasso ma ci consola che non siamo gli unici a versare in queste condizioni. Ecco, siamo nel primo cortile da dove si può ammirare la parte rossa dell’edificio che è diviso in due parti, rossa e bianca. Quella rossa era riservata al Dalai Lama e la bianca agli uffici amministrativi. Il Potala nasce come un castello e poi nel corso degli anni diventa un enorme palazzo arroccato sulla collina di Lhasa.
Saliamo altri scalini ripidissimi ed entriamo nella parte rossa. Subito ci appaiono statue religiose e di stanza in stanza TomTom ci spiega la complicata storia del Dalai Lama, dei Principi, della reincarnazione, delle 4 scuole diverse di religione che si avvicinano a quella indiana e nepalese.
Statue in oro, stanze fantastiche arredate in modo accurato. Ogni Dalai Lama del passato ha la sua stanza dedicata, per la riflessione, per la preghiera, per gli incontri con i suoi amministratori. Il numero delle stanze è infinito. Si passa da un piano all’altro, sempre attraverso delle scale strettissime ricoperte da tappeti rossi, per accedere alla zona riservata ai Monaci più famosi e ad altre divinità. Difficile capire bene l’esatta dinamica dei fatti nel corso dei secoli, sono le reincarnazioni che ci confondono un pochino, ma è comunque un mondo affascinante dove si mescola il reale con il cosmico.
Le stanze ed i corridoi sono affollatissimi, ad alcuni compagni manca l’aria e così guadagniamo l’uscita. Dall’alto si gode di un panorama meraviglioso e scendiamo pian pianino. È l’ora del pranzo e con TomTom prendiamo dei risciò per andare a pranzo. Altro ristorante caratteristico e scopriamo che il piatto tipico di Lhasa non è la lhasagna ma bensì lo Yak, cucinato in tutte le salse ed è anche molto buono.
Con noi si aggrega una ragazza cinese che abbiamo conosciuto al Potala, è giunta a Lhasa con 10 suoi amici in bicicletta valicando il passo dei 5013. Quando mi fa vedere le foto a momenti svengo, mi chiedo come avranno fatto, cosa si saranno presi, o sono solo più giovani che noi L ?
Giro per lo shopping nel circuito dell’artigianato ed è obbligatorio trattare per ogni singolo pezzo. Massima attenzione alle cinesate, gli articoli originali costano per forza qualcosa in più e chi pensa di aver fatto un affare ha invece preso una fregatura, CAPITO!!!!
Interessanti sono gli shop delle erbe, ti perdi tra i the di montagna, di pianura, al latte, al burro di Yak e non so ancora cos’altro, radici, bacche e funghi.
Con Marco cerco la China Bank disperatamente per un cambio valuta ma dopo più di un ora sotto il sole ci arrendiamo ed andiamo al bancomat.
Compriamo alcuni souvenir prima di rientrare in albergo con i piedi fumanti, camminare così tanto a questa altitudine è un calvario.
Si cena ancora in camera, spaghetti aio e oio alla Andrea, peccato però che a testare la cottura sono il turco ed uno spagnolo che non conoscono probabilmente la parola “al dente”, ma con questa astinenza di italian food riusciamo a digerire di tutto.
Domani sarà dura, ancora un valico a più di 4000 metri e dopodomani saremo a due passi dall’Everest.