Il timore di trovare sul nostro itinerario dei “pezzi sterrati” è tanta, ma al primo rifornimento il benzinaio ci assicura che la strada è ok ed alle 10.00 abbiamo infatti già percorso quasi 300 km. Il paesaggio si presenta verdissimo, con coltivazioni ovunque ed una moltitudine di schiere di mucche, pecore e capre che talvolta ostacolano anche il passaggio sulla strada.
I centri abitati sono radi, più che altro scorgiamo villaggetti o singole abitazioni lunga la via spesso protette da una folta vegetazione. Naturalmente parliamo di capanne che possono essere di fango e paglia, mattoni e paglia, in legno e paglia oppure realizzate con bandoni di alluminio. In ogni caso sono molto piccole e poste all’interno di cortili circondate da palizzate irregolari. Nello stesso spazio c’è posto anche per gli animali e immagazzinamento delle masserizie.
Tanti sono i bimbi che vanno a scuola con le loro divise verdi o blu, ma di più sono i bambini che sporchi, malvestiti e scalzi portano a spasso i greggi. Mangiamo kilometro dopo kilometro e sostiamo per un caffè, ce lo siamo guadagnato. La boscaglia è sempre più folta e l’asfalto è ottimo, ma ora è la temperatura che comincia a salire e la moto di Celestino inizia di nuovo a fare la stupida.
Frontiera con Angola, sono le 12.30 ed abbiamo percorso 560 km. Ora inizia però il valzer dei documenti ed all’immigrazione c’è una fila paurosa: è il weekend e c’è una via vai pazzesco di frontalieri che tornano alla loro casa.
La fila la rispettiamo solo noi, lo sport più diffuso qui è “il salto della fila” e qualcuno si arrabbia, io! Celestino intanto va in dogana dove troviamo un solerte funzionario che riempie un carnet ogni 15 minuti, ne basterebbero 2, e poi viene a controllare mezzo per mezzo, una verifica per assicurarsi che tutto è ok.
Angola, ci attende la staffetta della polizia che ci accompagnerà per tutto l’itinerario. Ci attendono anche per facilitare le pratiche doganali, ma ciononostante ci vorranno circa 5 ore per attraversarla (al momento detiene il primato della dogana “più lunga” l’Egitto con 9 ore). Immigrazione ok anche per Eckart che non ha il visto, ma con la nota verbale della nostra ambasciata a Luanda potrà accedere con un permesso speciale per poi regolarizzare il tutto nella capitale.
Il problema sono l’ingresso dei mezzi: fotocopie di tutti i documenti (ma questa volta ci siamo premuniti con stampante multifunzione al seguito) e form da riempire all’infinito. Mi chiedo chi leggerà mai tutte quelle carte, l’unica cosa modica è il prezzo d’ingresso, 10 $ a moto.
Ci fermiamo subito a fare benzina e veniamo assaliti da un nugolo di ragazzi e bambini che vengono prontamente respinti dai poliziotti che sono al nostro seguito: sono perlopiù curiosi, ma chiedono anche soldi o cibo. Facciamo rifornimento e per pagare siamo costretti, le carte non vengono accettate, a cambiare dollari nella moneta locale in una atmosfera surreale.
A 38 km dalla frontiera c’è la diocesi di Padre Nicasio, il nostro secondo obiettivo della missione “gli anonimi della fede”. Padre Nicasio è ad attenderci nel piazzale già buio antistante la chiesa. È nato qui, ma avendo studiato per molto tempo in Italia parla bene la nostra lingua con un lieve accento romanaccio.
Considerata l’ora e la giornata trascorsa saltiamo i convenevoli e veniamo accompagnati subito presso le stanze dove pernotteremo due notti: ci sistemeremo al suolo in tre aule didattiche al momento non utilizzate. Non ci sono vetri alle finestre, i bagni sono ubicati dalla parte opposta del fabbricato e l’acqua corrente non esiste (l’acqua all’interno delle abitazioni in questa zona non ce l’ha nessuno). In più è un’area di malaria e preferiamo, per nostra sicurezza, montare le tende all’interno delle aule.
Facciamo la doccia tirandoci secchiate d’acqua che preleviamo da un bidone appena riempito dai ragazzi dell’oratorio, un po’ come faceva nonna Antonietta negli anni ’50 a Santopadre.
Un riordino ai mezzi ed ai bagagli ed è sempre Davide con Egidio che organizzano la cena, coadiuvati da altri volenterosi.