Colazione insieme agli studenti dell’ostello, ci accorgiamo di essere un po’ quota per questo posto.
Direzione Managua, obiettivo per recuperare i due giorni persi. Partiamo in perfetto ritardo, forse per errore di “organizzazione” tra me ed Alessandro. La staffetta ci porta fuori dal centro di San Jose, che non riusciamo a visitare come avremo voluto, ma come giungiamo in tangenziale la moto di Norbert, ancora una volta, da problemi. È una vecchia Transalp di 20 anni, anche se messa bene e con pochi kilometri, ma ha sempre vent’anni, pochi per una persona ma troppi per una moto.
C’è un vento molto forte, è la stagione, e ci accostiamo presso una stazione di servizio. Il problema è il carburatore e come diceva Battisti, solo un cacciavite può far miracoli. Chiedo quindi a Marco e Stefano se è possibile pulirlo ora: qui siamo comodi, abbiamo spazio, meglio togliersi ora il problema. In pochi minuti il carburatore è scollegato dal motore e smontato. Accendiamo il nostro compressore, collegato al gruppo elettrogeno, e soffiamo, soffiamo. Dal carburatore esce di tutto, non credo che Norbert lo abbia fatto pulire prima della partenza. Ci si impiega un po’ di più a rimontarlo, ma alla fine l’effetto è stupefacente, il motore gira che è un amore.
Andiamo, Managua ci attende. Il traffico è intenso ma le strade consentono una buona media, consentono sorpassi sicuri, e così filiamo spediti fino alle 15. Siamo a pochi kilometri dalla frontiera ma preferisco fare una sosta per il pranzo. In missioni così importanti è fondamentale garantire soste frequenti, specialmente con delle temperature così elevate. Parcheggiamo su un piazzale sterrato adiacente un piccolo ristorante e, incredibile, un camionista tenta di farci “la truffa dello specchietto”. Non voglio dire che l’abbiamo inventata noi in Italia, non è bello, ma la cosa mi fa sorridere. Il camionista, con questo furgoncino degli anni del cucco, senza una parte sana, sostiene che Marco con la sua KTM ha sollevato un sasso che gli ha rotto il vetro. Interviene Celestino che gli chiede come avrebbe potuto fare visto che i mezzi erano sull’asfalto. Il tipo non molla, anzi alza i toni della conversazione e minaccia di chiamare la polizia. A questo punto sono io che lo invito a chiamare la polizia, non abbiamo nessun problema in tal senso. Il camionista allora rivede la sua posizione, ci sorride e se ne va.
Una sosta di due ore, ma il cibo meritava. Penas Blanca ci vede arrivare al tramonto. Facile uscire dal Costa Rica, facile entrare in Nicaragua, ovviamente dopo avere fatto ore di file e mille fotocopie. Attese tutte uguali, che tormento, in piedi ad attendere il proprio turno. Io poi ho anche perso la suola dei miei scarponcini (gli stivali li ho tolti dopo avere “perso un’unghia”, forse troppo stretti), ed ora zoppico vistosamente. Fortunatamente abbiamo una staffetta dal lato del Nicaragua che ci scorterà in città. Sono le 22.00 quando lasciamo la frontiera. Siamo ancora fortunati, la strada è come un tavolo da biliardo, dritta e con ampi curvoni ogni tanto. Cielo sereno, una luna da film ed un tappeto di stelle. Traffico zero, km dopo km ci avviciniamo alla capitale. La temperatura fresca rende gradevole la guida, ma anche oggi abbiamo guidato molto, siamo tutti molto molto stanchi e alcuni del gruppo si alternano alla guida dei mezzi. Ad uno dei grandi curvoni Norbert perde la bussola e va dritto, dietro lui Riccardo e Gianfranco. Io me ne accorgo quasi subito, ma la scorta non fa in tempo a recuperarli. Si sono immessi su una strada che porta sempre a Managua, ma con un itinerario più lungo e tortuoso. Non ci resta così che tornare indietro anche noi e prendere la stessa strada, prima o poi si fermeranno. E così è, li troviamo parcheggiati ad un angolo della strada, per fortuna tutto ok, e tutti insieme entriamo a Managua. Le strade sono vuote, è quasi mezzanotte, e non facciamo fatica a raggiungere l’hotel vicino l’aeroporto. Una lunga tangenziale taglia la città trasversalmente, ampie rotonde regolano il traffico e su una di queste campeggia una immensa scultura dedicata ad Ugo Chavez.
Il nostro hotel è ancora in costruzione, polvere ovunque, stanze senza alcun accessorio, ma c’è l’aria condizionata. Mi tocca ancora una volta dormire con Celestino, ma con la stanchezza che ho addosso avrei potuto dormire anche a cavallo della mia BMW.